IL TESTO UNICO IN MATERIA DI SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: VERSO UN NUOVO STATUTO GIURIDICO DELLE SOCIETÀ PUBBLICHE

1. INTRODUZIONE

Il d.lg. 19 agosto 2016, n. 175 recante “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”, pubblicato in G.U. 8 settembre 2016, n. 210, in vigore dal 23 settembre 2016 (il “Decreto Partecipate”), ha riordinato strutturalmente la disciplina delle società a partecipazione pubblica.

Il Decreto Partecipate dà attuazione all’art. 18 della legge delega di riforma della pubblica amministrazione n. 124/2015, ispirata dagli obiettivi di garantire gestione efficiente, tutela e promozione della concorrenza e del mercato, razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica (cfr. art. 1, comma 2).

In estrema sintesi, il nuovo Decreto Partecipate (i) individua i criteri sulla base dei quali sarà possibile costituire e gestire le società partecipate, (ii) prevede la drastica riduzione delle società a partecipazione pubblica e conseguentemente (iii) incide sulla nozione stessa di “società pubblica”, definendo una serie di regole specifiche per queste società che concorrono a delineare una sorta di “statuto giuridico speciale” delle società a partecipazione pubblica. Sono altresì presi in esame aspetti inerenti la disciplina del personale delle società pubbliche quali gli emolumenti, i tetti massimi per la retribuzione degli amministratori e i divieti di assunzioni.

2. OGGETTO E AMBITO DI APPLICAZIONE

Il Decreto Partecipate ha ad oggetto la costituzione1 di società da parte di pubbliche amministrazioni, nonché l’acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni2 delle amministrazioni pubbliche in società a totale o parziale partecipazione pubblica, sia essa diretta o indiretta3 (cfr. art. 1, comma 1).

L’art. 4 del Decreto Partecipate individua i criteri sulla base dei quali è possibile costituire una società pubblica o mantenere una partecipazione pubblica in una società: le società che non rispettano questi criteri non possono essere costituite, né possono essere oggetto di acquisizioni di partecipazioni da parte di amministrazioni pubbliche.

In particolare:
1. forma giuridica: le amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa (purché l’atto costitutivo o lo statuto prevedano la nomina dell’organo di controllo o di un revisore) (cfr. art. 3).

2. finalità perseguite: le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società aventi esclusivamente le seguenti finalità (cfr. art. 4, comma 2):

a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;

b) progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;

c) realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all’articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all’articolo 17, commi 1 e 2;

d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento4;

e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016.

In via eccezionale, sono inoltre ammesse:

(i) le società aventi per oggetto sociale esclusivo la valorizzazione del patrimonio delle amministrazioni stesse, tramite il conferimento di beni immobili allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore di mercato (cfr. art. 4, comma 3);

(ii) le società aventi per oggetto sociale prevalente la gestione di spazi fieristici e l’organizzazione di eventi fieristici nonché la realizzazione e la gestione di impianti di trasporto a fune per la mobilità turistica-sportiva eserciti in aree montane (cfr. art. 4, comma 7);

(iii) le società con caratteristiche di spin off o di start up universitari previste dall’articolo 6, comma 9, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, nonché quelle con caratteristiche analoghe agli enti di ricerca (cfr. art. 4, comma 8).

Sono infine ammesse le società elencate nell’Allegato A del Decreto Partecipate, le quali – per conseguenza – sono sottratte non all’applicazione dell’intero Decreto Partecipate, ma alla necessità di essere riconducibili a una delle predette categorie per poter essere considerate società “ammesse”.

Le società elencate nell’Allegato A (tra le quali si possono menzionare Coni Servizi, EXPO, ANAS, Gruppo GSE, Gruppo Invitalia, Gruppo Eur, FIRA, Finlombarda e le finanziarie regionali, potendo tale elenco essere esteso con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) sono quindi ammesse indipendentemente dalla loro riconducibilità a una delle suddette categorie, fermo restando che – per conseguenza – esse restano soggette alle disposizioni del Decreto Partecipate in materia di governance, di personale e così via.

3. OBBLIGO DI DISMISSIONE PER LE SOCIETÀ PUBBLICHE “NON AMMESSE”

Ai sensi dell’art. 24 del Decreto Partecipate, «le partecipazioni detenute, direttamente o indirettamente, dalle amministrazioni pubbliche alla data di entrata in vigore del […] decreto in società non riconducibili ad alcuna delle categorie di cui all’articolo 4, commi 1, 2 e 3, ovvero che non soddisfano i requisiti di cui all’articolo 5, commi 1 e 2 […] sono alienate». Ciò significa che le società esistenti, diverse da quelle “ammesse” in quanto non rispettose dei criteri riferiti alla forma giuridica e alla finalità perseguita, devono essere oggetto di «fusione o soppressione, anche mediante la messa in liquidazione o cessione».

Le amministrazioni pubbliche devono effettuare annualmente una ricognizione delle società e delle partecipazioni esistenti e procedere alla fusione, liquidazione o dismissione di quelle non ammesse; in via straordinaria, la prima di queste ricognizioni dovrà essere compiuta entro sei mesi dall’entrata in vigore del Decreto Partecipate (i.e. 23 settembre 2016) ossia entro fine marzo 2017. L’alienazione delle partecipazioni, che deve svolgersi secondo principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione, deve avvenire entro un anno dalla conclusione della ricognizione (dunque: entro marzo 2018).

La mancata adozione dell’atto ricognitivo o la mancata alienazione entro i termini sono sanzionate in quanto il socio pubblico non può esercitare i diritti sociali nei confronti della società e, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la medesima è liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti all’art. 2437-ter, c. 2, e seguendo il procedimento di cui all’art. 2437-quater c.c.

4. IL TEMA DELLE SOCIETÀ QUOTATE

Ai fini del Decreto Partecipate (cfr. art. 2, comma 1, lett. p)) sono considerate “società quotate”:
1. le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati;

2. le società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati;

3. le società partecipate dalle società di cui ai nn. 1 e 2, salvo che le stesse siano anche controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche.

È appena il caso di considerare che l’ampiezza della nozione di “società quotata” dipende dall’interpretazione che si dà all’espressione “mercati regolamentati”.

Essa, in mancanza di un espresso chiarimento da parte del legislatore, potrebbe rinviare alla nozione tecnica di cui al T.U.F. (d.lg. n. 58/1998) oppure alla nozione atecnica del linguaggio comune (che include qualunque mercato “oggetto di regolamentazione”), ampliando la sfera dei mercati di riferimento e, di conseguenza, ampliando la nozione di “società quotate” ai fini del Decreto Partecipate.

Poiché il Decreto Partecipate non rinvia espressamente al T.U.F., e poiché fra i criteri di delega vi è la necessità di evitare sovrapposizioni fra istituti di diritto privato e regole di diritto pubblico, è possibile argomentare nel senso che questa nozione sia da intendere come riferita a tutti i mercati oggetto di regolamentazione (giustificandosi questa eccezione proprio con la necessità di non sovrapporre regole pubblicistiche alla regolamentazione privatistica).

L’interpretazione è rilevante perché le “società quotate” beneficiano di una disciplina speciale che conduce – di fatto – a una “sostanziale” sottrazione all’applicazione del Decreto Partecipate.

In particolare, le disposizioni del Decreto Partecipate si applicano alle società quotate solo se espressamente previsto (cfr. art. 1, comma 5), e soltanto due norme prevedono espressamente la loro applicabilità anche alle società quotate: l’art. 8, relativo alle modalità di acquisto delle partecipazioni in società già costituite qualora l’operazione comporti l’acquisto della qualità di socio, nonché dell’art. 9, circa l’individuazione dell’organo competente all’esercizio dei diritti del socio.

Pertanto, tutte le disposizioni in materia di governance, come quelle in materia di forma societaria o di personale, non sono applicabili alle “società quotate”5.

5. MODIFICHE DI GOVERNANCE E ADEGUAMENTO DEGLI STATUTI NELLE SOCIETÀ A CONTROLLO PUBBLICO

Il Decreto Partecipate introduce significative modifiche di governance per le società “a controllo pubblico”, modifiche che concorrono a delineare quello speciale statuto giuridico delle società pubbliche menzionato in apertura.

Va precisato che, ai sensi del Decreto Partecipate, sono “società a controllo pubblico” quelle in cui si verifichi la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile ma anche quelle in cui, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale sia richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo (art. 2, lett. b)).

In queste società:

1. l’organo di controllo dev’essere “di norma” costituito da un amministratore unico (cfr. art. 11, comma 2); è previsto che un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri definisca i criteri sulla base dei quali sia ammesso un consiglio di amministrazione composto da tre o cinque membri nonché il ricorso a sistemi alternativi di amministrazione (dualistico o monistico) (cfr. art. 11, comma 3);

2. negli organi collegiali dev’esser in ogni caso assicurato l’equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo sul numero complessivo delle designazioni effettuate in corso d’anno (cfr. art. 11, comma 4);

3. quando la società a controllo pubblico sia costituita in forma di società a responsabilità limitata, non è consentito, in deroga all’articolo 2475, terzo comma, del codice civile, prevedere che l’amministrazione sia affidata, disgiuntamente o congiuntamente, a due o più soci (cfr. art. 11, comma 5);

4. gli amministratori non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti (cfr. art. 11 comma 8);

5. gli statuti delle società a controllo pubblico devono prevedere:

a) l’attribuzione da parte del consiglio di amministrazione di deleghe di gestione a un solo amministratore, salva l’attribuzione di deleghe al presidente ove preventivamente autorizzata dall’assemblea (cfr. art. 11 comma 9, lett. a));

b) l’esclusione della carica di vicepresidente o la previsione che la carica stessa sia attribuita esclusivamente quale modalità di individuazione del sostituto del presidente in caso di assenza o impedimento, senza riconoscimento di compensi aggiuntivi (cfr. art. 11 comma 9, lett. b));

c) il divieto di corrispondere gettoni di presenza o premi di risultato deliberati dopo lo svolgimento dell’attività, e il divieto di corrispondere trattamenti di fine mandato, ai componenti degli organi sociali (cfr. art. 11 comma 9, lett. c));

d) il divieto di istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società (cfr. art. 11 comma 9, lett. d)).

6. nelle società di cui le amministrazioni pubbliche detengono il controllo indiretto, non è consentito nominare, nei consigli di amministrazione o di gestione, amministratori della società controllante, a meno che siano attribuite ai medesimi deleghe gestionali a carattere continuativo ovvero che la nomina risponda all’esigenza di rendere disponibili alla società controllata particolari e comprovate competenze tecniche degli amministratori della società controllante o di favorire l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento (cfr. art. 11 comma 11).

L’adeguamento degli statuti delle società a controllo pubblico costituite al momento dell’entrata in vigore del Decreto Partecipate dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2016 (cfr. art. 26, comma 1).

6. SOCIETÀ IN HOUSE E SOCIETÀ MISTE: LA POSSIBILITÀ DI ATTRIBUIRE LA GESTIONE AI SOCI

L’art. 4 del Decreto Partecipate stabilisce che le società in house devono avere come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) dell’art. 4, comma 2. Tali società operano in via prevalente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti.

L’art. 16 stabilisce che le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella “prescritta” da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata. Nei commi successivi del medesimo art. 16 si precisa che «i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali».

Va evidenziato che, in ordine alla possibilità di includere privati nella compagine sociale delle società in house, la norma si differenzia parzialmente da quanto stabilito dall’art. 5 del d.lg. n. 50/2016, ove tale partecipazione è ammessa se “prevista” (e non “prescritta”) da norme di legge; la conseguenza è che (dovendosi ritenere l’art. 16 del Decreto Partecipate prevalente sull’art. 5 del d.lg. n. 50/2016, in applicazione del criterio cronologico) la partecipazione di privati nelle società in house va ritenuta ulteriormente limitata.

L’art. 16 specifica poi il concetto di “prevalenza” stabilendo che «[g]li statuti delle società di cui al presente articolo devono prevedere che oltre l’ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci e che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società».

Anche le società miste, ai sensi del Decreto Partecipate, devono avere un oggetto sociale esclusivo, limitato alle finalità di cui all’art. 4, comma 2, lett. c) (i.e. realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all’art. 180 del d.lg. n. 50/2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all’art. 17, commi 1 e 2).

L’art. 17 del Decreto Partecipate richiede che «la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento e la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica a norma dell’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ha a oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista». Al fine di vincolare la partecipazione privata all’esito della gara “a doppio oggetto” si prevede inoltre che «[l]a durata della partecipazione privata alla società […] non può essere superiore alla durata dell’appalto o della concessione».

Il comma 6 dell’art. 17 sottrae all’applicazione del codice appalti (d.lg. 50/2016) le società miste che non siano organismi di diritto pubblico6, costituite per la realizzazione di lavori o opere o per la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di concorrenza, per la realizzazione dell’opera pubblica o la gestione del servizio per le quali sono state specificamente costituite, se ricorrono le seguenti condizioni:

a) la scelta del socio privato è avvenuta nel rispetto di procedure di evidenza pubblica;

b) il socio privato ha i requisiti di qualificazione previsti dal d.lg. n. 50/2016 in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita;

c) la società provvede in via diretta alla realizzazione dell’opera o del servizio, in misura superiore al 70% del relativo importo.

Ciò significa che le società miste che realizzano le condizioni espresse dalla disposizione non sono tenute ad effettuare procedure ad evidenza pubblica per acquisire dall’esterno opere, forniture o servizi.

Assume particolare rilievo, per le società in house, la regola già ricordata, e stabilita per tutte le società a controllo pubblico, che impone agli statuti di prevedere “il divieto di istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società” (art. 11, c. 9, lett. d).

La giurisprudenza progressivamente formatasi negli anni aveva indicato, fra gli indici idonei a rilevare la presenza del “controllo analogo” (requisito necessario del modello in house), l’esistenza di organismi di controllo, costituiti dai rappresentanti di ciascun ente locale, muniti di penetranti poteri di verifica preventiva sulla gestione dell’attività ordinaria e straordinaria del soggetto in house, “tali da rendere l’organo amministrativo privo di apprezzabile autonomia rispetto alle direttive delle amministrazioni partecipanti7.

Il divieto di istituire organi diversi da quelli previsti dalle “norme generali” in materia di società sembra in effetti precludere la possibilità di continuare a prevedere organi quali i “comitati” che – variamente qualificati – assumevano tradizionalmente la funzione, nelle società in house, di verificare che la società operasse coerentemente con i principi e i presupposti del modello dell’in house providing e si conformasse agli indirizzi e alle direttive gestionali impartiti dai soci, garantendo quindi l’effettività di un controllo permanente dei soci stessi sulla società.

Si può allora ipotizzare che esista una connessione fra questi divieti e una delle più innovative previsioni introdotte dal Decreto Partecipate per le società in house (ma anche, come si vedrà, per quelle c.d. “miste”): ai sensi dell’art. 16, c. 2, lett. a), gli statuti delle s.p.a. in house possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell’articolo 2380-bis e dell’articolo 2409-novies del codice civile, ossia delle norme che attribuiscono la gestione dell’impresa esclusivamente agli amministratori (o al consiglio di gestione, in caso di sistema dualistico).

Si tratta della deroga più significativa al modello societario ordinario, e quindi del tratto più caratteristico dello speciale statuto giuridico delle società pubbliche: nelle s.p.a. in house, e in quelle a partecipazione mista pubblico-privata, è divenuto possibile strutturare un modello di governance nel quale la gestione della società non sia attribuita agli amministratori, o non esclusivamente ad essi, e venga invece attribuita (anche) ai soci.

Per le società in house, questa previsione può essere ricondotta all’intento del legislatore di mettere a disposizione della società uno strumento per la garanzia del controllo analogo alternativo alla presenza di amministratori dipendenti delle amministrazioni socie e all’esistenza di un “comitato” variamente denominato.

Per le società miste, la finalità della norma è resa esplicita dal legislatore, perché l’art. 17, c. 4, lett. a), chiarisce che la deroga può essere introdotta “al fine di consentire il controllo interno del socio pubblico sulla gestione dell’impresa”.

7. LA DISCIPLINA DEI RAPPORTI DI LAVORO

Quale regola generale, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applica la disciplina prevista per il rapporto di lavoro privato, salvo quanto diversamente disposto. È espressamente richiamata l’applicabilità delle disposizioni in materia di ammortizzatori sociali e dei contratti collettivi (cfr. art. 19, comma 1).

Il Decreto Partecipate, esplicitato tale principio, individua quindi una serie di peculiarità applicabili al rapporto di lavoro, di seguito sinteticamente richiamate.

7.1 Eccedenze di personale

Rispetto alle possibili ricadute sul personale degli obiettivi di razionalizzazione, il Decreto Partecipate prevede che, entro il 23 marzo 2017, le società a controllo pubblico effettuino una ricognizione del personale in servizio al fine di individuare eventuali eccedenze. L’elenco del personale eccedente dovrà essere trasmesso alla regione di competenza, che agevolerà processi di mobilità in ambito regionale, con le modalità che saranno indicate in apposito decreto ministeriale. Per eventuali lavoratori dichiarati eccedenti e non ricollocati, dal 23 settembre 2017 l’elenco sarà gestito dall’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) (cfr. art. 25, commi 1, 2 e 3).

7.2 Obiettivi di spesa. Assunzioni: procedure e limiti

Il Decreto Partecipate stabilisce procedure e limitazioni, dirette ed indirette, “a regime” e di carattere transitorio, alle assunzioni di personale da parte di società a controllo pubblico.

Anzitutto si prevede che le amministrazioni pubbliche socie fissino, con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale. Le amministrazioni, nel fissare tali obiettivi, terranno conto delle limitazioni transitorie contenute nel Decreto Partecipate (di seguito richiamate) ovvero di eventuali divieti o limitazioni alle assunzioni a loro carico (che potranno essere conseguentemente “ribaltati” sulle società controllate). Le società a controllo pubblico dovranno garantire il concreto perseguimento di tali obiettivi tramite propri provvedimenti da recepire, ove possibile, in sede di contrattazione collettiva di secondo livello (cfr. art. 19, commi 5 e 6).

Più in generale le società a controllo pubblico stabiliranno, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’art. 35, comma 3, D. Lgs. 165/2001 in materia di procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni. I rapporti di lavoro stipulati in assenza di tali provvedimenti o procedure sono nulli (cfr. art. 19, commi 2 e 4).

In ogni caso, fino al 30 giugno 2018, le società a controllo pubblico non possono procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato se non attingendo agli elenchi dei lavoratori eccedenti menzionato al precedente punto 1, con le modalità definite nel relativo decreto ministeriale. I rapporti di lavoro stipulati in violazione di tali disposizioni sono anch’essi nulli, ed i relativi provvedimenti costituiscono grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c. (cfr. art. 25, commi 4 e 6).
Tale limitazione è soggetta ad alcune eccezioni, quali, in particolare:

a. l’assunzione di personale indispensabile con profilo infungibile inerente a specifiche competenze, che non sia disponibile negli elenchi di lavoratori eccedenti e previa autorizzazione da parte degli enti competenti (cfr. art. 25, comma 5);

b. in via interpretativa si ritengono inoltre escluse le assunzioni obbligatorie delle categorie protette, nonché le assunzioni a tempo determinato e le somministrazioni8.
Sono inoltre escluse dall’applicazione di tali limitazioni, così come dall’obbligo di individuazione delle eccedenze, le società a prevalente capitale privato che producono servizi di interesse generale e che nei tre esercizi precedenti hanno prodotto un risultato positivo.

7.3 Limiti ai compensi

Il Decreto Partecipate prevede inoltre una serie di limiti applicabili al trattamento economico del personale, in parte demandati all’emanazione di un successivo decreto ministeriale:

A. Tetti retributivi: saranno individuate con decreto ministeriale fino a cinque fasce per la classificazione delle società a controllo pubblico, a cui corrisponderanno altrettanti limiti ai compensi massimi, a cui gli organi di dette società dovranno fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del “trattamento economico annuo omnicomprensivo” da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti. Il Decreto Partecipate pone, quale tetto retributivo massimo applicabile alla fascia più alta, l’importo di 240.000 euro lordi9, da intendersi quale limite complessivo in caso di compensi corrisposti da più pubbliche amministrazioni o società a controllo pubblico (cfr. art. 11 comma 6)10;
B. Retribuzione variabile: il decreto ministeriale di cui al punto 1. stabilirà inoltre i criteri di determinazione della parte variabile della retribuzione, che in ogni caso dovrà essere commisurata ai risultati di bilancio raggiunti dalla società nel corso dell’esercizio precedente. In caso di risultati negativi attribuibili alla responsabilità dell’amministratore, la parte variabile non può essere corrisposta (cfr. art. 11 comma 6)11;
C. Indennità: è vietato corrispondere ai dirigenti delle società a controllo pubblico indennità o trattamenti di fine mandato diversi o ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva ovvero stipulare patti di non concorrenza anche ai sensi dell’art. 2125 c.c. (cfr. art. 11 comma 10)12;
D. Comitati: in caso di loro istituzione, non può comunque essere riconosciuta ai relativi componenti alcuna remunerazione complessivamente superiore al 30% del compenso deliberato per la carica di amministratore (cfr. art. 11 comma 13);
E. Risultati economici negativi: le società a partecipazione di maggioranza delle pubbliche amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all’80% del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato economico negativo, procedono alla riduzione del 30% del compenso dei componenti degli organi di amministrazione. Il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi costituisce giusta causa di revoca degli amministratori. Ciò salvo che il risultato economico negativo sia coerente con un piano di risanamento preventivamente approvato dall’ente controllante. (cfr. art. 21, comma 3).

7.4 Vincoli alla designazione dei componenti degli organi amministrativi e di controllo delle società a controllo pubblico

Salvi gli ulteriori requisiti previsti dallo statuto, i componenti degli organi amministrativi e di controllo di società a controllo pubblico devono possedere i requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia stabiliti con successivo decreto (cfr. art. 11, comma 1).

Il Decreto Partecipate fa in ogni caso salve le disposizioni in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi di cui al D.Lgs. 39/2013 e l’art. 5, c. 9, DL 95/2012 sugli incarichi a soggetti collocati in quiescenza (cfr. art. 11, commi 1 e 14).

Coloro che hanno un rapporto di lavoro con società a controllo pubblico e che sono al tempo stesso componenti degli organi di amministrazione della società con cui è instaurato il rapporto di lavoro, sono collocati in aspettativa non retribuita e con sospensione della loro iscrizione ai competenti istituti di previdenza e di assistenza, salvo che rinuncino ai compensi dovuti a qualunque titolo agli amministratori (cfr. art. 11, comma 12).

Gli amministratori delle società a controllo pubblico, qualora siano dipendenti della società controllante, hanno l’obbligo di riversare i relativi compensi alla società di appartenenza, salvo il diritto alla copertura assicurativa ed al rimborso delle spese documentate (cfr. art. 11, comma 8). Si veda anche quanto riportato al precedente paragrafo 5, punti 4 e 6.

7.5 Garanzie per il personale in caso di cessazione di appalto

Le pubbliche amministrazioni titolari di partecipazioni di controllo, in caso di reinternalizzazione di funzioni o di servizi esternalizzati, prima di effettuare nuove assunzioni procedono al riassorbimento13 delle unità di personale già dipendenti a tempo indeterminato da amministrazioni pubbliche e transitate alle dipendenze della società interessata dal processo di reinternalizzazione (cfr. art. 19, comma 8).

Al fine di favorire i processi di razionalizzazione previsti nell’ambito della revisione straordinaria delle partecipazioni, in occasione della prima gara successiva alla cessazione dell’affidamento in favore della società a controllo pubblico interessata da tali processi, il rapporto di lavoro del personale già impiegato nell’appalto o nella concessione continua con il subentrante nell’appalto o nella concessione ai sensi dell’art. 2112 cod.civ. La cessazione dell’appalto in conseguenza della razionalizzazione comporta quindi che l’affidamento successivo, purché avvenga con gara, sia assimilabile negli effetti ad un trasferimento d’azienda, con le garanzie per i dipendenti previste dal codice civile (cfr. art. 24, comma 9)15.

7.6 Responsabilità

I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house.

****

1Alla costituzione delle società pubbliche è dedicato l’art. 7 del Decreto Partecipate che stabilisce che «[l]a deliberazione di partecipazione di un’amministrazione pubblica alla costituzione di una società è adottata con:
a) decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con i ministri competenti per materia, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, in caso di partecipazioni statali;
b) provvedimento del competente organo della regione, in caso di partecipazioni regionali;
c) deliberazione del consiglio comunale, in caso di partecipazioni comunali;
d) delibera dell’organo amministrativo dell’ente, in tutti gli altri casi di partecipazioni pubbliche» e che l’atto deliberativo contenga «l’indicazione degli elementi essenziali dell’atto costitutivo, come previsti dagli articoli 2328 e 2463 del codice civile, rispettivamente per le società per azioni e per le società a responsabilità limitata».

2Ai sensi dell’art. 8 del Decreto Partecipate «[l]e operazioni, anche mediante sottoscrizione di un aumento di capitale o partecipazione a operazioni straordinarie, che comportino l’acquisto da parte di un’amministrazione pubblica di partecipazioni in società già esistenti sono deliberate secondo le modalità di cui all’articolo 7, commi 1 e 2.». Si noti che «[l]’eventuale mancanza o invalidità dell’atto deliberativo avente ad oggetto l’acquisto della partecipazione rende inefficace il contratto di acquisto della partecipazione medesima».
3Il Decreto Partecipate definisce la “partecipazione indiretta” come la situazione in cui una pubblica amministrazione detiene la partecipazione in una società per il tramite di un’altra società o di altri organismi soggetti a controllo da parte della medesima amministrazione pubblica.
4È fatto divieto per le società di autoproduzione, quando controllate da enti locali, di costituire nuove società e di acquisire nuove partecipazioni in società ma tale divieto non si applica alle società che hanno come oggetto sociale esclusivo la gestione di partecipazioni societarie di enti locali (cfr. art. 4, comma 5).
5Con riferimento alle società quotate, trova applicazione anche la disciplina transitoria di cui all’art. 26, secondo cui le pubbliche amministrazioni possono comunque mantenere le partecipazioni in società quotate detenute al 31 dicembre 2015 (cfr. art. 26, comma 3) e ai sensi del quale sono escluse dall’ambito di applicazione del Decreto Partecipate nei primi dodici mesi dalla sua entrata in vigore:
a) le società a partecipazione pubblica che abbiano deliberato la quotazione delle proprie azioni in mercati regolamentati con provvedimento comunicato alla Corte dei conti (cfr. art. 26, comma 4, prima parte);
b) le società a partecipazione pubblica che presentino domanda di ammissione alla quotazione entro dodici mesi dall’entrata in vigore del Decreto Partecipate (in questi casi il Decreto Partecipate continua a non applicarsi fino alla conclusione del procedimento di quotazione: cfr. art. 26, comma 4, seconda parte);
c) le società a partecipazione pubblica che, entro il 30 giugno 2016, abbiano adottato atti volti all’emissione di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati. I suddetti atti devono essere comunicati alla Corte dei conti entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto Partecipate, purché il procedimento di quotazione si concluda nel termine di dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto stesso (cfr. art. 26, comma 5).
6La definizione è contenuta nell’art. 3, primo comma, lett. d) del d.lgs. 50/2016 secondo cui è organismo di diritto pubblico «qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV:
1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;
2) dotato di personalità giuridica;
3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici».
7T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 giugno 2014, n. 1069. Nel medesimo senso, Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2015, n- 2154; Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera 22 gennaio 2015, n. 15.
8Salvo, per queste due ultime ipotesi, secondo alcune interpretazioni, eventuali vincoli a carico delle amministrazioni controllanti, che potrebbero comunque essere tenuti in conto nella determinazione degli obiettivi.
9Al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario.
10La disposizione si applica alle società a controllo pubblico. Il Decreto Partecipate tuttavia prevede che, nelle società partecipate ma non a controllo pubblico, l’amministrazione che sia titolare di una partecipazione pubblica superiore al 10% del capitale proponga agli organi societari l’introduzione di misure analoghe a quelle sopra indicate.
11La disposizione si applica alle società a controllo pubblico. Il Decreto Partecipate tuttavia prevede che, nelle società partecipate ma non a controllo pubblico, l’amministrazione che sia titolare di una partecipazione pubblica superiore al 10% del capitale proponga agli organi societari l’introduzione di misure analoghe a quelle sopra indicate.
12La disposizione si applica alle società a controllo pubblico. Il Decreto Partecipate tuttavia prevede che, nelle società partecipate ma non a controllo pubblico, l’amministrazione che sia titolare di una partecipazione pubblica superiore al 10% del capitale proponga agli organi societari l’introduzione di misure analoghe a quelle sopra indicate.
13Nei limiti dei posti vacanti nelle dotazioni organiche dell’amministrazione interessata e nell’ambito delle facoltà assunzionali disponibili.
14Mediante utilizzo delle procedure di mobilità di cui all’art. 30 D. Lgs. 165/2001.
15Ai sensi dell’art. 2112 c.c. “1. In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. 2. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento [.] 3. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente tra contratti collettivi del medesimo livello. 4. Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’art. 2119, primo comma. [.] 6. Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.